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venerdì 23 novembre 2012

STEWART BRAND: UN AMBIENTALISTA POLITICAMENTE SCORRETTO



Brand è un simpatico 72enne, dal passato da militare paracadutista, che maneggia la tecnologia come un ragazzino. Nessun problema a destreggiarsi tra Mac, cavi o connessioni varie. Non è una persona qualunque: è uno che ha teorizzato l’importanza di una rete di computer mondiali quando internet era ancora solo un progetto militare, sconosciuto ai più. In molti riconoscono infatti come il precursore del World Wide Web proprio la sua idea del “The Whole Earth Catalog”: pubblicazione nata per promuovere prodotti che potessero aiutare le persone a trovare una guida al proprio ambiente di vita, condividendo infine la propria esperienza. Un uomo che guarda avanti, quindi, interpellato anche da Hollywood quando serve un parere su film futuristici come Minority Report.
Stewart Brand è pragmatico e si limita a fotografare la realtà. Nel proprio discorso pone l’attenzione su cosa accade. Oggi la popolazione mondiale è di 7 miliardi, di cui 1,1 nei miliardi paesi civilizzati. Nel 2012 più del 50% della popolazione vivrà nei centri urbani e ci si aspetta che la cifra salga al 61% nel 2030, tenendo presente che era al 3% nel 1800. Questo significa che i villaggi si stanno svuotando o scadendo a dormitorio, mentre cresceranno le periferie degradate delle città, quelle che comunemente chiamiamo favelas o bidonville.


In ogni caso, la domanda di energia elettrica sarà sempre più elevata. Non c'è da farsi illusioni: anche in presenza di stili di vita con risparmio energetico e strategie di contenimento, di fatto la richiesta di energia crescerà, in quanto la popolazione cresce e crescono le tecnologie  anche nei paesi arretrati.  Vediamo allora da dove si ricava ora. A livello mondiale il 66% circa dell’elettricità è prodotta da combustibili fossili, il 16% da impianti idroelettrici ed il 15% dal nucleare, il 3% da fonti rinnovabili.
Una delle fonti più pulite sembrerebbe l’energia solare. Chiaramente è necessario decidere dove installare i pannelli. Ebbene, si potrebbe immaginare di posizionarli nel deserto. Il deserto però non è una distesa sabbiosa come tanti immaginano, è piuttosto un microcosmo di organismi viventi, con flora e fauna uniche, in grado di resistere a climi estremi. Ebbene, è necessario usare quasi 130 km quadrati di suolo per produrre 1 GW (50 sq.miles). Parlando di superfici, i dati dell’eolico sono ancora più pesanti: quasi 650 km quadrati per 1 GW (250 sq.miles). Cifre che fanno riflettere, soprattutto pensando ai dati sull’aumento di popolazione appena visti. Difficile pensare come sia possibile usare solare ed eolico per supplire ai bisogni mondiali, tra l’altro senza aver toccato l’aspetto del dove posizionare gli impianti: come ben sappiamo in Italia basta ben poco per far nascere un “comitato del no”. Inoltre l'energia prodotta da fotovoltaico ed eolico è variabile, discontinua, difficile da stoccare. Richiede forti investimenti per elettrodotti dedicati e strutture di stocking che prevedono megaimpianti come bacini idrici, sistemi di pompaggio e condotte con modificazione del paesaggio, consumo di suolo e forte impatto ambientale.
Una delle fonti fossili per la produzione di energia è il carbone. Ma quanto ne serve? Per avere un’idea un giorno di funzionamento di una centrale da 1GW necessita di 80 vagoni di carbone, dove un vagone può trasportare 100 tonnellate. In questo caso la centrale ogni giorno genererà 19000 tonnellate di CO2, senza contare scarti vari e polveri. Arriviamo quindi al paradosso che il più grande disastro nucleare mai avvenuto, Chernobyl, non sia stato così distruttivo come l’inquinamento che produciamo giornalmente.
Cosa fare delle scorie nucleari? Qui Stewart Brand gioca in casa, citando le 121 discariche nucleari degli Stati Uniti, ricavate anche da ex installazioni militari. E gli altri? Brand porta una serie di esempi di nuove centrali, con una in particolare che brucia essa stessa le scorie, oppure un’altra che non produce CO2 (per chi volesse approfondire l’argomento, uno dei modelli di centrale citata è la AP1000 di Westignhouse). Con la prospettiva che la fusione nucleare si avvicini sempre più.
La questione è chiara: Brand considera il nucleare come il minore dei mali. Se il problema numero uno è il clima, non si può che pensare all’energia nucleare. Forse non sarà la soluzione definitiva ma potrebbe essere l’unica per garantire energia a tutti, con un impatto ambientale minore rispetto alle altre tecnologie.
Brand conclude il proprio discorso con una considerazione. Si dice che gli ambientalisti degli anni ‘60 “amavano gli alberi”, quelli di oggi “amano gli alberi, ma ma anche il genoma”. Questo significa che bisogna essere meno romantici e più scientifici, e pensare che la scienza è sempre in evoluzione. Guardare 15 anni in avanti, e pensare come sarà il nostro mondo allora.

Non capita tutti i giorni che l’autore del Whole Earth Catalog (definito da Steve Jobs un world wide web ante litteram) sia a disposizione per parlare delle sue idee, non sempre allineate con il resto dei pensatori della sua generazione. Mettiamola così: Brand è un ecologista, ci tiene a definirsi ancora così. Ed è così che lo presenta Luca De Biase, durante la presentazione dell’ultimo libro dell’autore americano, Una cura per la terra (Codice Edizioni). 
Però è un ecologista della prima ora, di quelli che la questione l’hanno studiata bene, laureandocisi a Stanford addirittura. E, soprattutto, è un autentico americano, uno di quelli che non possono fare a meno di guardare al lato pratico di ogni situazione. Il che si traduce in maniera molto sintetica in un: si può cambiare idea, anzi si deve, quando i tempi cambiano. Brand va dritto al punto, e partendo da quello che fu un articolo rivoluzionario, Environmental Heresies, pubblicato nel 2005 sulla rivista del MIT Technologies Review, prova a ribaltare quelli che sono i convincimenti più radicati (e più refrattari al cambiamento) nel mondo ambientalista. Tre sono i punti chiave che il pioniere Brand prende in considerazione per un futuro migliore, puntando il dito contro l’ideologia che secondo lui guida gli ambientalisti di vecchia generazione. Iniziamo da uno dei più controversi.
IL NUCLEARE E' NECESSARIO
Non importa cosa pensava negli anni ’70, quando avrebbe sicuramente detto no al nucleare. Brand negli ultimi vent’anni ha visitato alcuni dei luoghi in cui vengono depositate le scorie, uno degli argomenti più forti degli ambientalisti contro l’uso di questa fonte di energia. E si è convinto che tutto quello che ci è stato raccontato parte da presupposti sbagliati. Afferma: “Di solito gli ambientalisti agitano lo spauracchio di un futuro insostenibile. E dicono: «Dovete garantire che tutta la radioattività emessa dai rifiuti resterà completamente isolata per 10 000 anni (o perfino un milione) e se non ne siete in grado non potete utilizzare questa fonte di energia.» Perché?  «Perché la radioattività, anche in quantità ridotta, nuoce agli esseri umani e alle altre forme di vita. Potrebbe contaminare le acque sotterranee.» E nessuno di loro prende in considerazione il fatto che tra centinaia di anni gli essere umani, se l’evoluzione procede come ha fatto finora, saranno sicuramente molto più capaci di quanto lo siano ora di risolvere un’eventuale fuoriuscita di radioattività, peraltro facilmente rilevabile ed eliminabile.” Per chi ha ancora timori sulla sicurezza e pensa a ciò che successe a Chernobyl nel 1986, Brand consiglia la lettura di alcuni rapporti su greenfacts.org che, a più di vent'anni di distanza, fanno una valutazione oggettiva e dettagliata dell'incidente.
Ma soprattutto, prosegue Brand, perché ci ostiniamo a ignorare che il vero problema, per la sopravvivenza della terra, sono le emissioni di Co2? Il nucleare, ben gestito come già avviene in America, Giappone, Francia, non solo permette al paese che ne fa utilizzo un risparmio energetico enorme, ma anche di ridurre le emissioni dovute all’utilizzo di combustibile fossile che sono il vero cancro del pianeta. Il nucleare è pulito, è verde, è poco ingombrante. Una centrale che produce 1 miliardo di Watt con combustibile fossile emette tantissime scorie. Se la stessa energia è prodotta col nucleare le scorie sono contenute in due barili facilmente conservabili. Se il nostro obiettivo è quello di combattere il global warming, l’energia nucleare va assolutamente presa in considerazione in quel mix di energie a bassa emissione da utilizzare in futuro. “L’Italia dovrebbe accelerare il discorso sul nucleare, è assurdo che abbiate questa dipendenza energetica (e dunque economica) dalla Francia. Soprattutto le giovani generazioni e gli scienziati più in gamba, quelli più aggiornati come James Hansen, sanno bene che questa è la direzione giusta. Senza dimenticare che la ricerca va avanti, e che in India stanno già sperimentando un nuovo reattore nucleare che usa il torio invece che l’uranio. Il che vuol dire il triplo di giacimenti, più difficoltà a trasformare l’energia in un’arma pericolosa, più sicurezza.”
OGM, CIBO DEL FUTURO
“Guardatemi”, dice Brand. “Sono un consumatore di cibo Ogm da ben 14 anni e sto piuttosto bene. So bene che in Europa siete più scettici, ma questo è il secolo delle biotecnologie, non si può far finta di niente.” Secondo lui pensare che l’agricoltura possa andare avanti senza ricorrere al biotech significa non solo non credere in un futuro migliore, ma proprio fare un passo indietro. Gli Ogm ci permettono di ridurre gli spazi da coltivare per produrre la stessa quantità di prodotto, grazie alla cosiddetta Sod seeding. E di ridurre i rischi di tossicità per via dell’uso di insetticidi. Ma non solo. Grazie agli Ogm e alla ricerca, potremo avere prodotti sempre più buoni e sempre più sani. “Più di metà della popolazione mondiale (India, Cina e Filippine) hanno alla base della loro alimentazione il riso. Spesso la conseguenza è un grosso deficit di vitamina A, con problemi alla vista soprattutto per i bambini. Un gruppo di ricercatori svizzeri ha ovviato a questo problema brevettando il Golden Rice, riso geneticamente modificato perché arricchito di beta-carotene. Pensiamo poi alle popolazioni africane, che si nutrono principalmente di sorgo e kasava, alimenti a base di amido con quasi zero proprietà nutritive. Arricchendo questi prodotti con minerali, vitamine e proteine, molti problemi dovuti a un’alimentazione troppo povera potrebbero essere risolti.”
Un esempio che dovrebbe convincerci a pensarci su è molto vicino a casa nostra. Il Parmigiano Reggiano, simbolo della produzione local, viene in realtà fatto con il latte di mucche che si nutrono con soya Ogm proveniente da Brasile e Argentina. Eppure lo consideriamo un prodotto altamente genuino. “E questo succede perché è ormai impossibile fare a meno del biotech. Un giorno, molto presto, lo capiremo tutti, e saremo in grado di coltivare Ogm nell’orto di casa nostra. E sarà un gran progresso.” Gli si obietta che gli Ogm possono gravemente attentare alla biodiversità, riducendo pericolosamente le specie esistenti in natura a causa di un mancato utilizzo o una mancata coltivazione. Ma non è affatto d’accordo. E proprio per spiegare perché passa all’ultimo punto della discussione.
CITTA’ PIU’ POPOLATE? SI’, GRAZIE.
Cinque contadini su sei abbandonano i campi per trasferirsi in città. E secondo Brand questo è un gran vantaggio per tutti. “Perché l’agricoltura è quanto meno ecologico ci sia. Soprattutto l’agricoltura di sussistenza, che è una trappola di povertà. Grazie agli Ogm si ridurranno gli spazi da dover coltivare, e allora trasferirsi in città per molti sarà la scelta più opportuna. Con gran vantaggio per la biodiversità.” Perché, come spiega subito dopo, non sono gli Ogm i veri nemici della biodiversità, quanto i contadini che sfruttando i terreni, scegliendo arbitrariamente quali coltivazioni privilegiare e quali no, fanno un vero e proprio danno a determinate specie. Senza contare che la coltivazione tradizionale, quella che prevede l’aratura del terreno, emette Co2 in grandissima quantità. Le megalopoli non sono questi mostri che gli ambientalisti descrivono. Anzi “gli agglomerati urbani devono essere intesi come un fattore di sviluppo e un'occasione per risparmiare energia, perché le città sono officine di innovazione, centri di creazione della ricchezza, luoghi dove si risolvono problemi.”
(Da www.mag.wired.it/) 


INTERVISTA A STEWART BRAND PUBBLICATA SU WIRED (dicembre 2010):

Dopo polemiche, dubbi e scettiscismi, siamo arrivati alla condivisione di una verità comune sul riscaldamento globale? Il modo in cui viene raccontato è corretto?
La spiegazione pubblica generale – quella dell’IPCC – è accurata. Rimane molta incertezza per gli aspetti scientifici: può svilupparsi più lentamente o più velocemente di quello che ci aspettiamo. Ma niente può far pensare che il riscaldamento globale non ci sarà. Sarebbe una notizia stupenda se si avviasse qualche meccanismo di compensazione, ma ogni anno che passa, coi dati che abbiamo, il processo sembra sempre più inevitabile.
Nel libro parla spesso degli “ambientalisti” come se lei non fosse uno di questi…
No, lo sono da quando avevo dieci anni e adesso più che mai. Ma credo che dobbiamo pensare alla conversazione dell’ambiente in un modo diverso dal passato.
Secondo lei c’è ancora un futuro politico per i movimenti Verdi?
Non lo so proprio. Secondo me I Verdi avranno delle chance nei prossimi anni se appoggeranno l’energia nucleare, i raccolti transgenici e la bioingegneria come mezzi fondamentali per ottenere dei risultati Verdi.
In Germania e Francia hanno saputo reinventarsi, in Italia no. Negli Stati Uniti?
Magari l’Italia saprà reinventare il movimento Verde in un modo più appropriato a questo secolo e ai suoi problemi. I Verdi americani vanno bene, e mi rallegro che siano più disponibili a discutere di temi come il nucleare e I raccolti transgenici.

Mi spiega la sua divisione in tre categorie di ambientalisti?
I Romantici, che trattano I problemi come tragedie incurabili. Gli Scienziati che cercano di capire cosa siano esattamente I problemi. Gli ingegneri, che li risolvono. Io penso che gli ambientalisti debbano mantenere le loro emozioni per la natura, ma anche aderire completamente agli approcci di scienza e ingegneria per ottenere soluzioni concrete.
Sembra me e mia moglie: dice che ce la possiamo cavare?
Certo: informatevi sui siti scientifici e leggete le riviste come Science, Nature e New Scientist.
Lei è un grande ammiratore delle città e del modo in cui migliorano le vite delle persone: ma non trascura tutti i consueti lati negativi delle realtà urbane? Povertà, stress da lavoro, relazioni limitate, inquinamento…
… e il crimine organizzato, il lavoro infantile, le malattie (comprese le epidemie). Nessun paese incoraggia l’urbanizzazione, e alcuni la scoraggiano: eppure ogni settimana un milione e duecentomila persone si trasferiscono in città in cerca di opportunità e lo hanno fatto per decenni. Tutti volontariamente. Immagino che sappiano quello che fanno.
Beh, questo potrebbe valere per qualunque scelta. Facciamo molte cose in molti, sbagliando.
Ok, I loro figli ritornano in campagna? No. I loro cugini rimangono in campagna? Per lo più no. Questo mi fa pensare che le loro esperienze urbane siano soddisfacenti.
Perché dice che le donne hanno un ruolo peculiare nella crescita dell’urbanizzazione?
Perché ne sono un traino. In città le donne possono trovare un lavoro, ottenere un’educazione e liberarsi di un cattivo marito. Migliore assistenza medica e migliori scuole per I loro figli. Ogni donna che lotta per questo migliora la sua situazione e le città stesse.
Parla bene persino delle baraccopoli e del modo in cui aiutano le comunità…
Le città generano ricchezza. Anche nelle baraccopoli, si dà il caso. Le terribili condizioni in cui vi si vive migliorano col tempo quando le persone gradualmente diminuiscono il loro grado di povertà e I governi si fanno carico di fornire le infastrutture di base: acqua, elettricità, fognature.
Davvero? Non tutti la pensano così.
Gli esperti di cui mi fido io dicono che le baraccopoli uccidono molta gente, ma ne guariscono di più di quanta ne uccidano. Guariscono la miseria.
A cosa si riferisce quando parla di un ritorno alla “vita naturale”?
Lo scrivo nel capitolo “Il giardinaggio è tutto” del libro. Ormai non esiste un solo posto sulla Terra esente dalle attività umane, spesso dannose. Ma per sopravvivere dipendiamo da sistemi naturali intatti: quelli che chiamo “infrastrutture naturali”, oceani salubri, clima stabile, fiumi che scorrono puliti fino al mare, ricca biodiversità, eccetera. Ci siamo presi il ruolo di badanti della Terra. Possiamo farlo bene o male, ma non abbiamo più scelta se farlo o no. Farlo bene è quello che chiamo “giardinaggio”.
In un capitolo spiega di essersi convinto che chiunque sia preparato sul nucleare è favorevole al nucleare: ma quindi tutti gli argomenti contro sono infondati?
Sono rimasto impressionato da quanto siano esagerate molte delle accuse contro il nucleare. Le radiazioni sono molto meno pericolose di quanto mi era stato spiegato. L’eliminazione delle scorie è facile e normale, gli Stati Uniti l’hanno fatto nel New Mexico per più di un decennio senza problemi.
L’energia nucleare è certamente più costosa del carbone o del gas naturale, ma anche l’eolico e il solare lo sono, e alla lunga costano più del nucleare. Gli stati devono tassare I combustibili – carbone, gas, petrolio – oppure siamo cotti.
Perché ha cambiato idea sul nucleare?
Appena ho cominciato a occuparmi seriamente del cambiamento climatico, mi sono dovuto occupare seriamente del nucleare. Appena ho studiato le cose attentamente, ho cambiato opinione. È successo a molte persone.
Come mai sul nucleare la destra è più aperta della sinistra?
La destra disprezza le persone di sinistra e i loro amici ecologisti, quindi appoggia quel che la sinistra contesta, il nucleare. Altri semplicemente sono aperti agli argomenti razionali a favore del nucleare.
Da dove viene tutta la sua fiducia nel progresso tecnologico e scientifico? Non ci sono rischi nel nucleare, non ci sono rischi nell’ingegneria genetica, non ci sono rischi nella geoingegneria?
La scienza aiuta a capire qual è il livello di rischio, e la tecnologia permette di orientarlo nella direzione migliore. Non esiste niente che non presenti rischi. Ma ora il rischio maggiore viene dal non fare niente, e aspettare che il cambiamento climatico ci travolga.
La geoingegneria è rischiosa, certo. Infatti dobbiamo fare sperimentazioni su larga scala sulle diverse tecniche, in modo da sapere che diavolo stiamo facendo se decidiamo di usarle.
Come mai le molte soluzioni per la terra che propone non vengono sviluppate?
Molte lo sono. La biotecnologia si sta sviluppando rapidamente. C’è un ritorno del nucleare. Gli ambienti naturali vengono protetti e ricostruiti. Le città crescono e diventano più umane. Lo sfruttamento delle fonti energetiche incoraggia il risparmio e l’efficienza. La cosa più importante che non abbiamo ancora fatto è tassare il carbone.
Cos’è che la rende così ottimista, in un tempo di pessimismi, catastrofismi e allarmi permanenti?
Ho assistito da vicino a molti successi tecnologici rapidi e benigni: I computer, il Web, I telefoni cellulari, I videogiochi, e la biologia. Sono esperienze che incoraggiano l’ottimismo.
Una delle sue obiezioni alle paure del nucleare – che gli uomini si adatteranno e troveranno nuovi modi per sfuggire ai pericoli attuali – si può usare anche rispetto al riscaldamento globale?
Penso che possiamo adattarci a un aumento delle temperature che non superi i due gradi. Con cambiamenti più improvvisi e forti, è molto più improbabile.    (Da Wired )
Stewart Brand non è un ideologo, non ha la mente a senso unico, che ragiona secondo schemi prefissati (da altri). Odia la demagogia del politically correct e va al fondo dei problemi. Ha la fortuna di avere una impostazione di pensiero pragmatica, un tipo di pensiero a cui in Europa, terra delle ideologie, non siamo abituati. Considera ridicolo e tragico  rifiutare una tecnologia ad emissione zero di gas serra e affidarsi, in pratica, a petrolio, gas e carbone , mentre il pianeta sta morendo soffocato dalle emissioni di CO2. Considera ridicolo e tragico tapparsi occhi ed orecchie sulla ricerca nucleare, sulle centrali a fusione -che sono sempre più vicine grazie alla ricerca in atto- , e puntare tutto su tecnologie inefficienti delle rinnovabili. Inefficienti per un mondo sempre più sovrappopolato e che richiede continuamente sempre più energia. Inefficienti per il tipo di strutture dell'insediamento umano: megalopoli interconnesse da collegamenti materiali e immateriali. Le campagne, se continuiamo su questa strada, saranno ridotte ad aree di sussistenza per le città in espansione, degradate a strutture funzionali per collegamenti e insediamenti di servizio.  Il futuro che si prospetta, anche nelle menti degli ambientalisti mainstream, non è piacevole: un mondo che presto sarà di nove miliardi di umani, concentrato nelle città-megalopoli, con campagne cementificate o ricoperte da pannelli fotovoltaici e torri eoliche, e che allo stesso tempo continua a bruciare miliardi di tonnellate di carbone e petrolio. Un mondo surriscaldato dall'effetto serra e sconvolto da disastri climatici e ambientali.  Se non facciamo qualcosa, ora, subito, ci aspetta l'inferno di un  pianeta da incubo.

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