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mercoledì 1 agosto 2012

L'UOMO E LA NATURA AL TEMPO DI OMERO



Il tempo raccontato da Omero risale a 3000 anni fa, il mondo è quasi un paradiso terrestre, la natura è lussureggiante, le acque di fiumi e laghi limpidissime, le cime dei monti innevate e splendenti come diamanti: gli uomini le credono abitate dalle divinità. Il cielo è terso, trasparente, di un azzurro non ancora contaminato dalle polveri sottili e dagli scarichi industriali. La terra intera era popolata solo da 25 milioni di umani (stime del centro studi demografici dell'Onu). Il valore della persona umana era immensamente superiore: quando arrivava un immigrato era una festa di tutto il popolo, come ci ricorda Omero nell'Odissea descrivendo l'arrivo di Ulisse tra i Feaci. Oggi che gli umani sono 7 miliardi, all'arrivo di una barca di immigrati manca poco che si prenda a cannonate lo scafo nella speranza che affondi. L'uomo è divenuto merce, e la merce umana è troppa e non ha più alcun valore. Il mondo ha perso la sua sacralità, il mare, le isole,   le foreste sono solo mezzi che servono per qualcosa e non hanno più alcun valore in sé. Il mare serve  per navigare o per scaricarci i rifiuti, come risorsa di cibo da svuotare fino al limite estremo, le isole  per fare turismo o commercio, le foreste per abbattere e farne legname e terra da sfruttare.
Riporto uno dei brani più belli e intensi dell'Odissea, nella traduzione straordinaria di Quasimodo che rende il  senso vero alle parole antiche e ci riporta al sentimento degli uomini di 3000 anni fa:

Zeus manda Ermes da Calipso


Così disse, e subito ubbidiva il messaggero veloce;
e si legò ai piedi i bei calzari d'oro, divini,
che lo portavano sull'acque e per la terra infinita
come il soffiare del vento; e presa la verga
con la quale incanta, se vuole, gli occhi dei mortali,
o li desta dal sonno, il forte uccisore di Argo
cominciò il suo volo. E giunto sulla Pieria,
dall'alto cielo scese fulmineo sul mare
e si lanciò sull'onde. E come  gabbiano
che per gli abissi cupi del mare ondeggiante
dà la caccia ai pesci e bagna le fitte ali nell'acqua,
così Ermes sfiorò innumerevoli flutti.
E quando giunse all'isola lontana,
uscì dal mare colore di viola e andò lungo la riva
fino alla spelonca della ninfa di belle chiome.
E là era Calipso. Ardevano sul focolare,
con alta fiamma, il cedro e il tenero larice,
e l'odore si spargeva lontano per l'isola.
Nella grotta cantava la ninfa con voce soave,
e tesseva percorrendo il telaio con la spola d'oro.
Intorno alla grotta s'alzava verdissima una selva,
e il pioppo e l'ontano e il cipresso odoroso.
E là uccelli dalle lunghe ali avevano il nido,
e gazze e sparvieri e cornacchie marine
avide di pesci. E lungo la grotta girava
una vite domestica carica di grappoli;
e da quattro fontane in fila, l'una vicina all'altra,
limpide acque scorrevano per ogni lato.
E fiorivano intorno teneri prati d'ànace e viole.
E se là giunge anche un nume, guarda con meraviglia,
e il suo cuore si colma di gioia. E ora qui, fermo, 
il messaggero splendente guardava stupito.
Entrò poi nella grotta profonda; e appena lo vide 
lo riconobbe Calipso, divina fra le dee,
perché l'uno dei celesti non è ignoto all'altro,
anche se vivono lontani. Ma Odisseo non era là:
piangeva come sempre in riva al mare, e desolato
con lacrime e lamenti consumava il suo cuore.

(Libro V, versi 43-83. Traduzione di Salvatore Quasimodo)

Leggendo gli antichi versi si percepisce una diversa comprensione del mondo, un diverso modo di vedere le cose, una sensibilità verso la natura e gli uomini che noi abbiamo perso. Sorge allora la domanda di noi moderni: è possibile tornare ad un rapporto verso la natura che sia di rispetto e di riconoscimento di un valore simile al sacro dei tempi antichi, conservando quello che di buono ci offre la tecnica e la scienza moderna? Non si tratta di tornare ad essere ingenui, né di una regressione ad un mondo favoloso e irreale. Ma di ritrovare un rapporto perduto anche nella nostra qualità di uomini del tempo della tecnica moderna. Ritrovare un sentimento verso la natura che dia un senso anche all'uomo che la abita, all'uomo che è anche lui componente della natura, inscindibile da essa. E come sia di fondo questo legame si vede oggi che una frattura è intercorsa tra gli uomini e il pianeta, una rottura che sta mettendo a rischio la sopravvivenza dell'uomo e della sua civiltà. Le parole di Omero sono un richiamo al nostro pensiero di moderni, un invito a ripensare il nostro modo di essere e di considerare il mondo. A cominciare dalla devastante eccessiva crescita della popolazione umana.

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