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sabato 11 febbraio 2012

LA ROTTURA TRA UOMO E NATURA: IL MITO DI ULISSE E LE SIRENE




Nell’antico testamento è riportato il mito della cacciata di Adamo (il primo uomo) dal Paradiso Terrestre. In quel mito si narra di una rottura di una unità originaria: quella tra uomo e natura. L’uomo è a tutti gli effetti biologicamente un animale, ma nel momento che ha sviluppato l’intelletto egli ha metaforicamente rotto un patto con il resto della natura. Egli ha “mangiato” del frutto dell’albero della sapienza, uscendo di fatto dal regno animale. Nella mitologia greca lo stesso significato è rappresentato nel mito di Prometeo, che rubò il fuoco a Zeus e fu per questo incatenato sui monti del Caucaso esposto ai tormenti della natura (un’aquila gli mangiava il fegato). L’uomo con il suo intelletto ha potuto intervenire nel mondo per mezzo della tecnica, ma così facendo ha dato inizio all’artificialità del suo agire. L’Homo Sapiens ha dunque avuto il privilegio, unico tra gli animali, della comprensione mediante l’intelletto, ma ha perso il suo posto naturale di animale tra gli animali sulla Terra. L’intelletto lo avrebbe dovuto guidare per mantenere comunque un rapporto di rispetto con la natura e gli altri esseri viventi, ma la stupidità e l’arroganza ha prevalso portando alla situazione disastrosa del mondo attuale. L’uomo ha dimenticato la sua origine e ha creduto di poter soddisfare ogni suo desiderio, ignorando tutto il resto , la sua appartenenza e la sua provenienza, la sua indissolubile unione al mondo naturale. Tornare indietro non è possibile, l’uomo ha perduto definitivamente il suo paradiso. Ogni tentativo di ritorno conduce alla irresponsabile inconsapevolezza, simboleggiata dalla morte collettiva sull’Isola delle Sirene nel famoso Mito descritto da Omero. L’uomo è condannato a procedere verso l’ignoto, ma senza lasciarsi dominare dall’Hybris tecnologica.


L’INCONTRO CON LE SIRENE
L’oggettività scientifica e tecnica del mondo è una condizione angosciante per l'uomo, il quale è ricorso alle favole, ai miti, alle ideologie ed infine alla sopravvalutazione di se e del proprio pensiero per sfuggire all'angoscia del nulla incombente. L’uomo è l’unico animale che ha coscienza del nulla cui è destinato.
C'è una metafora che rimane ancora insuperata per descrivere l'essenza dell'uomo occidentale, essenza che si fonda sull'agire tecnico. E' quella di Ulisse e il suo incontro con le Sirene. Ulisse sfida le Sirene passando con la sua nave accanto alla loro isola. I marinai hanno le orecchie tappate con cera e lui, il capitano, si fa legare al palo della nave ed ha le orecchie libere di sentire. Odisseo, proprio perché tecnicamente illuminato, riconosce in questo modo la strapotenza del canto delle Sirene e per questo si fa legare. Egli si china, protende il capo verso il canto del piacere, ma non cade in loro potere. Con tutta la violenza del proprio desiderio, egli non può raggiungerle, poiché i compagni che remano, con la cera alle orecchie, non sono sordi solo alle Sirene, ma anche agli ordini e al grido disperato del loro capitano.
In questa poetica metafora il pensiero è attratto dalla possibilità di sfuggire la natura tecnica del mondo attraverso il mito e l'illusione di una riunificazione dell’uomo ad una originaria appartenenza, simboleggiata dal canto delle Sirene. L’originaria appartenenza è quella di un mondo primordiale dove l’uomo era senza coscienza del nulla che lo avvolge, come lo sono sulla Terra gli altri animali senza intelletto, un mondo che potremmo definire “del Paradiso terrestre”, intriso di un profondo sentire poetico. La poesia stessa è il sentimento nostalgico di quella perdita originaria. Ma la necessità dell'agire concreto è espressa dalla funzione di macchina degli uomini (sordi) ai remi. Il sapiente è esposto all'attrazione del mito perché ha orecchie per sentire e del mito riconosce la potenza; ma egli è legato, ed è perciò tutt'uno con la macchina che viaggia nel mare sconosciuto. Egli, cioè l'uomo occidentale, sceglie il dominio sulla natura (con tutti i contenuti di violenza che tale scelta implica), pur riconoscendo la bellezza dell'illusione: che il pensiero non sia un prodotto tecnico come gli altri ma sia sostanza soprannaturale capace di riportarci all’antico Paradiso perduto. Il potere di questa illusione è riconosciuto, ma relegato nell'isola delle Sirene. Queste, essendo il simbolo della lontana appartenenza animale dell’uomo, sono per metà uccelli e per metà fanciulle, figlie di una Musa.
L’uomo, attratto dal loro canto, liberato dalle corde che lo legano al palo della realtà tecnica, correrebbe verso di loro – mostruoso mito distruttore- finendo come gli altri che giacciono putrefatti sugli scogli in una apocalisse collettiva (l’incoscienza originaria del mondo animale sarebbe l’annientamento della nostra essenza di uomini, cioè di creature coscienti e responsabili).


La mente non può dunque sottrarsi alla realtà del mondo fisico, anzi è legata indissolubilmente alla materia e alla tecnicità simboleggiata dalla nave e dal suo albero. Solo legandosi ad essa l’uomo può affrontare il mondo e i suoi pericoli. L’incontro con il nulla è solo rimandato nel tempo, e la tenebra della fine individuale sarà la conclusione del nostro viaggio. Ma questo è il destino proprio dell’uomo e attenersi ad esso è conservare la propria umanità. Conservare la propria umanità è il valore fondante di Ulisse, che lui ribadirà a Calipso quando la dea gli prospetterà l’immortalità: egli le risponderà che preferisce tornare al focolare domestico accanto alla moglie Penelope, vivendo fino alla fine il loro destino di mortalità. Tornando ad Itaca troverà un senso alla sua vita individuale racchiuso proprio in quel suo cercare, in quel nostalgico ritorno –sempre nuovo e ripetuto- ad un significato perduto. Qui sta l’eroicità dell’uomo occidentale: navigare senza gli dei e la certezza di una rotta, con la sola forza della propria curiosità e della propria nostalgia.
Diceva Nietzsche che la salvezza è lì dove  il pericolo è più grande. Le Sirene, mezze fanciulle e mezze animali, sono la nostra appartenenza naturale e dunque vicino a loro che si può perire per sempre o salvarsi. Dall'altra parte c'è il vasto mare aperto dove l'uomo può perdere la sua appartenenza e la sua dimora per ritrovarsi in preda alla macchina che va verso l'ignoto.  Non dobbiamo cedere al canto delle sirene, ma saperlo interpretare come via verso la salvezza. Un altro grande del pensiero, Freud, aveva individuato dentro la mente dell'uomo un inconscio dove erano racchiusi tutti gli istinti e le istanze di pensiero  appartenenti ad una parte che abbiamo rimosso perché non compatibile con la vita razionale cosciente. Anche qui Freud ha interpretato questa parte come quella a cui ci richiamano le Sirene di Ulisse con il loro canto. E' la parte buia, nascosta, vicina al nostro passato animale. Eppure, dice Freud, è portandone alla coscienza i contenuti rimossi che spesso riusciamo a vincere la nevrosi e l'alienazione. Oppure nell'inconsio possiamo perderci come lo psicotico  catturato dalle potenti pulsioni che vi abitano. Ancora una volta le Sirene ci possono perdere, ma anche guidare alla salvezza, a seconda di come sappiamo accettare la parte di natura, di appartenenza che ci lega al mondo animale e naturale. Schivare gli scogli che conducono al nulla, trovare la rotta che ci riporta all'Heimat, al territorio originario da cui siamo nati e a cui dobbiamo tornare con tutta la nostra sapienza tecnologica.
Tra il mito della natura perduta e la realtà dello strapotere della tecnica, resta all’uomo moderno la via di uscita di un ritrovato rapporto con la natura, in un rispetto reciproco che tolga ogni arroganza e violenza all’azione dell’uomo verso il pianeta e gli altri esseri viventi. Altrimenti c’è il Nulla dell’Isola delle Sirene o di un viaggio senza scopo in un mare sconosciuto.

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