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mercoledì 26 ottobre 2011

Perché l'Italia frana quando piove



di Antonio Cederna

Un'Italia che frana e si sbriciola non appena piove per due giorni di fila, ecco l'immagine che subito viene a imporre alla nostra attenzione il problema di fondo e il più trascurato della politica italiana: la difesa dell'ambiente, la sicurezza del suolo, la pianificazione urbanistica. I disastri arrivano ormai a ritmo accelerato: e tutti dovremmo aver capito che ben poco essi hanno di "naturale", poiché la loro causa prima sta nell'incuria, nell'ignavia, nel disprezzo che i governi da decenni dimostrano per la stessa sopravvivenza fisica del fu giardino d'Europa e per l'incolumità dei suoi abitanti.
I "miracoli economici", i boom edilizi, industriali e autostradali, sono avvenuti tutti al di fuori di qualsiasi programmazione di autentico e lungimirante interesse generale: abbiamo sistematicamente trascurato di realizzare tutta l'armatura dei servizi pubblici e delle attrezzature collettive (dalle scuole agli impianti di depurazione, dalle riserve naturali ai piani di bacino idrografico, dal verde pubblico ai trasporti collettivi, dal rimboschimento alla difesa dei litorali ecc.), indispensabili alle esigenze di vita della popolazione in un'epoca di sempre più veloci trasformazioni economiche e sociali.
La nostra classe di governo si è rifiutata di provvedere ad alcune leggi essenziali, da quella per la difesa della natura a quella per i parchi, a quella, fondamentale, urbanistica...Siamo un paese che conta alcuni catastrofici primati alla rovescia: solo lo 0,6 % del territorio destinato a parco nazionale, il 60 per cento dei boschi esistenti degradato e incapace di esercitare la minima azione regolatrice del flusso delle acque, solo un metro quadrato di verde pubblico per abitante, il minor tasso di rimboschimento (per il quale siamo al decimo posto in Europa), la più alta percentuale di incendi boschivi (30.000 ettari l'anno), cinque milioni di ettari (che rappresentano un sesto dell'Italia) sottoposti ad erosione, che provoca circa trecento miliardi di danni l'anno all'agricoltura. Abbiamo lasciato costruire case e industrie fin nelle aree golenali dei fiuni, continuiamo a sconvolgere ogni equilibrio naturale con impianti idroelettrici, abbiamo prosciugato paludi che sono la valvola di sfogo dei fiumi, abbiamo lottizzato la penisola e abbiamo costruito migliaia di chilometri di autostrade irridendo alle opinioni espresse dai naturalisti.
Gli eventi franosi sono due-tremila all'anno, con un morto ogni otto giorni: i geologi del servizio di Stato sono cinque, uno ogni dieci milioni di abitanti (mentre nel Ghana sono uno ogni settantamila). Sarebbe davvero strano che l'Italia non andasse periodicamente sott'acqua. Gli interventi pubblici sono saltuari, sono frammentari, non coordinati... Nel 1970 la commissione interministeriale De Marchi ha calcolato che per la difesa idraulica del suolo italiano occorrono 5.300 miliardi di lire nel prossimo trentennio. Ecco il costo dell'imprevidenza, i conti sbagliati della nostra economia, che ha puntato tutto sul tornaconto immediato e sul rpofitto. Fino a che la difesa della natura e del suolo non diventerà la base della pianificazione del territorio, fino a che questo non sarà considerato patrimonio comune (anziché res nullius, come è stato finora), continueremo a contare le morti e le distruzioni. Ma intanto questa Italia sempre pronta a non fare le cose indispensabili, ha stanziato la settimana scorsa altri cinquecento miliardi di lire per costruire nuove autostrade.

Nota del curatore del Blog: questo articolo sembra scritto questa mattina, invece è un articolo di Antonio Cederna scritto nel lontano Gennaio del 1973! POVERA ITALIA

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