Translate

domenica 30 ottobre 2011

2050: QUALE MONDO CI ATTENDE?





Il 2050 non è lontano, si avvicina sempre di più. La percezione del tempo e' soggettiva, e l'accelerazione della vita contemporanea da luogo ad una compressione spazio-temporale che non ha precedenti. Il 2050 ci riguarda, ci coinvolge perché ci siamo dentro, culturalmente dentro. Non è solo il tempo a restringersi. Per secoli il mondo è stato uno spazio immenso in cui le culture e le popolazioni si confrontavano da spazi enormi, con aree della Terra ancora inesplorate, fonti di immaginazione e senso di avventura. Tutto questo oggi è profondamente cambiato. Il mondo è sempre più piccolo, ogni processo locale diviene immagine, viene virtualizzato e globalizzato in pochi secondi, gli spostamenti sono sempre più rapidi, la percezione stessa del mondo è da villaggio globale. Tutto il pianeta è interessato da un cambiamento uniformante, vero ossimoro linguistico e filosofico, attraverso cui traspare il tessuto metallico della uniformità tecnica. Non ci sono più spazi immuni, terre selvagge, la Terra non ha più misteri, la fantasia e l'immaginazione sono finite nelle fiction fatte a tavolino. La tecnica divora letteralmente ogni cultura e i significati delle cose e dei fenomeni perdono le sfaccettature. Un fenomeno o rientra nella scienza o non esiste tout court. Persino i nostri vissuti intellettuali si tramutano in virtualità, e la sensibilità o i sentimenti sono sommersi da immagini continuamente cangianti che non permettono di dare un senso a quei vissuti. Tra noi e il 2050 ci sono 40 anni e, a differenza dei nostri padri che credevano nel futuro e nella modernità, noi non sappiamo dove va il mondo. Il mondo di oggi è estremamente più piccolo rispetto a quello di cento o duecento anni fa, ma è molto più incomprensibile. Il 2050 lo sentiamo vicino ma non sappiamo vederlo, immaginarlo. C'è un termine che definisce questo vuoto culturale: post-moderno, il moderno non c'è più, c'è solo un dopo che non si sa dove porti.
Ma c'è un dato: ogni anno che passa il pianeta si accresce di 75 milioni di abitanti. Se i tassi di natalità rimangono quelli attuali, nel 2050 sulla Terra ci saranno 10,5 miliardi di abitanti. l’Africa raddoppierà la sua popolazione attuale arrivando a quella data a più di 2 miliardi, l'Asia sarà a 5,3 miliardi, l'Europa rimarrà stabile come nascite ma peserà la variabile del fenomeno immigratorio. Il mondo sovrappopolato subirà cambiamenti epocali: l'Europa e l'America del nord perderanno il ruolo egemone in economia e politica, potere e ricchezza si sposteranno in Asia, le tensioni sociali per disagio economico e disoccupazione aumenteranno, si assisterà all'inurbamento di grandi masse, specie nei paesi poveri, in enormi megalopoli come Mumbai, Nuova Delhi, Città del Messico, Shangai e Calcutta con i problemi di inquinamento ambientale, di criminalità, di stress e conflitti sociali collegati a tali mostri demografici. Ma ci sono altri fattori in gioco: quanto peseranno le grandi migrazioni in atto? Queste hanno attualmente motivazioni economiche, ma in futuro saranno sempre più rilevanti fattori ambientali: migrazioni scatenate dall’aumento di eventi meteorologici estremi (come gli uragani), siccità e degrado del suolo, o aumento del livello del mare con conseguente erosione e inondazione della costa. Una minaccia, questa, che riguarda chi vive nelle aree costiere densamente popolate (dove si trova il 60% delle 39 maggiori metropoli) e le nazioni di isole e atolli minacciati di finire sommersi come Maldive, Tuvalu, Vanuatu. All'Onu si stima che da qui al 2050 si abbiano circa 200 milioni di migranti, ma qualcuno parla di cifre fino a un miliardo. Le aree di emigrazione saranno l' Africa, paesi del medio-oriente, India, Cina, Filippine, Sud America. Si accentueranno i conflitti etnici e religiosi, la competizione per le risorse (in particolare l'acqua). La sovrappopolazione dei paesi poveri avrà purtroppo un impatto ambientale devastante, infatti mentre nei paesi sviluppati falliscono le politiche di risparmio energetico e si tenta con scarso successo di indirizzare la produzione verso un basso impatto ambientale, nei paesi arretrati la necessità di reperire cibo e risorse per far fronte alla forte crescita demografica, porterà -come sta avvenendo in India- a moltiplicare soprattutto il consumo di quei beni, come cibo o manufatti di prima necessità, che richiedono un alto contenuto di materia prima impiegata e di energia.

 Ricordiamoci che il protocollo di Kyoto è fallito, ed è fallito miseramente come risulta dagli ultimi report sulle emissioni dei paesi interessati e sui mancati finanziamenti (v. Corriere della Sera del 29-10-2011). In questo quadro disastroso non mancano i fautori della crescita demografica, perché c'è sempre chi balla sul Titanic. Tre studiosi dell’Onu, George Martine, José Miguel Guzman e Daniel Schensul, ritengono che negli ultimi vent’anni il tasso di crescita della popolazione mondiale sia aumentato percentualmente meno della produzione di cibo. Il problema secondo costoro è nella ineguaglianza produttiva e di risorse tra le varie aree del pianeta. Sulla base di tali studi e secondo stime Fao, migliorando la distribuzione delle risorse si può arrivare senza "problemi" alimentari ad una Terra con 20 miliardi di abitanti. Costoro continuano a non capire che, oltre i calcoli matematici tra cibo e umani, c'è anche il tipo di pianeta che si prepara. Una vita infernale in mezzo a polveri, pulviscolo, tossici ambientali, con esseri umani ristretti in megalopoli invivibili e stressanti, una specie di Bladerunner senza androidi e con solo umani, che vita sarebbe?.I ben pasciuti e remunerati burocrati della Fao auspicano un mondo sovrappopolato, inquinato, pieno di conflitti e paurosamente senza prospettive.
Ma tornando ai problemi materiali, c'è anche la limitazione di altre risorse oltre quelle alimentari. Oggi si consumano 90 milioni di barili di petrolio al giorno (senza contare gas, carbone, nucleare e altri combustibili), e nel 2030 le stime dell'Agenzia generale dell'energia parlano di 120 milioni di barili al giorno. Quanto dureranno i giacimenti e le riserve di petrolio? Quante polveri sottili e gas serra immessi nell'atmosfera comporterà questo spaventoso consumo quotidiano portato avanti per decenni? Uno studioso dello Stockholm Environment Institute, Johan Rockström afferma che ci sono altri limiti invalicabili: per esempio l’impiego della terra per fini agricoli che, secondo i suoi calcoli, non potrà superare il 15% delle terre emerse e libere dai ghiacci. Andare oltre questa percentuale significherebbe impoverire altre risorse fondamentali, come le foreste, necessarie a controllare il livello di anidride carbonica in atmosfera. Oggi lo sfruttamento delle terre libere dai ghiacci è intorno al 12 %. Anche migliorando i concimi e i metodi di coltura ci avviamo a saturare le possibilità agricole del pianeta. Senza contare gli effetti dell'uso massiccio di fertilizzanti e dello sfruttamento dei terreni. La maggior parte dei paesi affamati sono tropicali, e produrre più cibo ai tropici non è facile. Non bisogna lasciarsi ingannare dalle foreste pluviali lussureggianti. Eccetto che nei suoli vulcanici (come a Giava) o nelle zone soggette a inondazioni (come alcune parti dell'Amazzonia), i suoli sotto le foreste pluviali sono generalmente sottili e poveri. Gli elementi nutritivi della foresta sono in gran parte immagazzinati nella vegetazione non nel suolo; quindi, quando la foresta viene abbattuta - come auspicano a tavolino i folli fautori della crescita demografica- una parte sostanziale degli elementi nutritivi se ne va con essa, e quelli che rimangono nel suolo sono portati via dalle intense piogge tropicali. L'esperienza ha mostrato che un'agricoltura permanente in queste aree è un'illusione. Per l'acqua, spiega Rockström, non potremo andare oltre a un consumo di 4.000 km3 l’anno, e ai ritmi attuali di consumo per raggiungere quel livello non manca molto. Ma portare all'estremo lo sfruttamento delle risorse naturali, anche essendo ottimisti su nuove fonti energetiche e sul progresso tecnologico, non porterà ad un mondo migliore. Se siamo su questo pianeta non è solo per figliare, riprodurci, uniformare tutto sotto la patina della tecnica e del cemento. Se vogliamo che l'alba sia ancora l'alba, che i paesaggi ci commuovano, che la cima delle montagne ci ispiri spiritualità e il mare ci faccia sentire esseri liberi, dobbiamo cominciare adesso a lavorare perché il 2050 non sia l'incubo a cui ci stiamo avviando.

Nessun commento:

Posta un commento